
La Cassazione conferma la custodia in carcere al titolare dell’azienda che approfitta dello stato di bisogno dei lavoratori sottoposti a condizioni degradanti
Responsabile del reato di caporalato e sfruttamento lavorativo (art. 603 bis, commi 1 e 4, n. 1 e 3, c.p.) il titolare dell’azienda che corrisponde ai lavoratori una retribuzione difforme da quella prevista dai Ccnl, non paga gli straordinari e che viola le norme in materia di orario di lavoro e di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, non fornendo dispositivi individuali idonei. A stabilirlo la Cassazione con la recente sentenza della quarta sezione penale n. 24298/2025. Disposta la custodia in carcere emessa dal Gip di Latina, e confermata dal Tribunale del riesame di Roma, nei confronti del legale rappresentante di una ditta individuale che utilizzava braccianti agricoli, senza regolare permesso di soggiorno, sottoponendoli a condizioni di sfruttamento, approfittando del loro stato di bisogno. In particolare, al titolare dell’azienda agricola venivano addebitate diverse condotte, tra cui la corresponsione di retribuzioni inferiori a quelle previste dai contratti collettivi di categoria (5,5 euro all’ora a fronte dei 7,88/10,25 euro all’ora previsti dai Ccnl), il mancato pagamento degli straordinari e della paga per i giorni festivi e “condizioni non solo degradanti, ma anche non rispettose delle norme in materia di sicurezza e igiene e così esposti a grave pericolo per la loro incolumità”. Il datore di lavoro, attraverso la difesa, ricorreva in Cassazione contro l’ordinanza, ritenendo la motivazione posta alla base delle esigenze cautelari illogica e contraddittoria. Ma per i giudici di legittimità non ci sono dubbi: nel caso in esame ci sono tutti gli elementi che integrano il reato di caporalato. A partire dalle retribuzioni difformi da quelle previste dai Ccnl, così come dalla mancata corresponsione degli straordinari e degli aumenti per i giorni festivi, come dichiaravano i lavoratori, costretti a lavorare anche di domenica e senza pause. Un reato che si integra anche nel caso in cui, in modo reiterato, si violano le norme sull’orario di lavoro (i braccianti lavoravano, infatti, per ben 48 ore settimanali “a fronte delle 39 previste per la categoria”) e quando si violano le norme su igiene, salute e sicurezza sul lavoro; nel caso specifico, il datore di lavoro non ottemperava agli obblighi di vigilanza e formazione dei lavoratori.
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